Prime sanzioni del nuovo GDPR Facebook e Google!

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E’ appena entrato in vigore il nuovo regolamento europeo sulla privacy – il Gdpr – e c’è già chi potrebbe sperimentare le maxi sanzioni.

“None of your business” (letteralmente: non sono affari tuoi), un’associazione no profit fondata dall’avvocato austriaco Max Schrems, ha
presentato quattro reclami distinti contro Android (il sistema operativo mobile di Google), Facebook e le altre 2 società di sua proprietà, Whatsapp e Instagram.

Quello che gli viene contestato è il ricorso al “consenso forzato”, in pratica hanno fatto comparire ai propri utenti dei pop up che propongono, o meglio, impongono, l’assenso all’utilizzo dei propri dati.

Come l’associazione precisa, il consenso dovrebbe essere fornito in piena libertà, senza insistenze esterne.

L’opposto di quello che è successo nei primi giorni di entrata in vigore del nuovo regolamento.
In pratica l’utente viene messo “con le spalle al muro” : se non accetti le condizioni in modo esplicito non puoi continuare ad utilizzare il servizio.

Coinvolte quattro autorità europee
L’avvocato Shrems ha iniziato a battagliare con tutti gli strumenti possibili per ridimensionare le ingerenze delle aziende Ict nella vita dei loro clienti. I quattro reclami presentati oggi saranno gestiti da altrettante autorità nazionali per la privacy, l’equivalente del nostro Garante: la francese Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés si occuperà delle accuse ad Android (sanzione massima di 3,7 miliardi di euro); la belga Data protection authority gestirà il reclamo contro il social di sole immagini Instagram (1,3 miliardi di euro); la tedesca Der Hamburgische Beauftragte für Datenschutz und Informationsfreiheit, di casa ad Amburgo, vigilerà le eventuali infrazioni commesse da Whatsapp (1,3 miliardi di euro); l’austriaca Datenschutz behörden, o Dba, farà chiarezza sul comportamento di Facebook (1,3 miliardi di euro).

Ma qual’è il punto centrale dell’accusa? Il Gdpr vieta di far dipendere l’accesso a un servizio dal fatto di concedere o meno il consenso da parte dell’utente. Della serie: prendere o lasciare.

Secondo l’associazione, la fine del «consenso forzato» non danneggerebbe in nessuna maniera le aziende, visto che il trattamento di dati è sempre possibile quando si dimostra la necessità delle informazioni.
Viceversa la qualità di navigazione aumenterebbe con la fine dell’assedio di pop-up, oltre a riequilibrare un po’ i giochi con le aziende più piccole.

Una Pmi non può permettersi gli stessi toni, né gli stessi investimenti per incalzare gli utenti sulla propria disponibilità ad accettare le condizioni di un servizio.

privacy

Il nuovo organismo Ue è già al lavoro
L’European Data Protection Board, il comitato che raggruppa i garanti della privacy dei 28 (presto 27) paesi della Ue si è già messo al lavoro sul quadruplo reclamo.

L’organismo, istituito dal Gdpr, ha confermato di aver ricevuto «un primo caso su Facebook in Austria». A quanto ha dichiarato alle agenzie Andrea Jelinek, presidente (austriaca) dell’Edpd e a sua volta a capo del garante di Vienna, «il dossier inviatoci sembra molto professionale».

Sia Facebook che Google hanno già risposto alle accuse, spiegando di aver lavorato per mesi per garantire il massimo dell’osservanza del regolamento.

Altre aziende hanno intrapreso la strada di Google e Facebook, inviando mail e alert a getto continuo per assicurarsi la disponibilità a mantenere il contatto con l’azienda e gli utenti ordinati se ne sono accorti.
Alcune aziende hanno dovuto sospendere la propria attivtà per adesso.

Anche i lettori europei di alcune testate Usa, si sono trovati nello schermo la spiegazione che il quotidiano non era al momento accessibile in alcuni paesi europei.
Non è certo, ma potrebbe essere un periodo di stand by per potersi poi adeguare alla normativa del Gdpr che si applica alle aziende extra europee quando hanno a che fare con i cittadini dell’Unione Europea.

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Fonte: Il Sole 24 Ore

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